Un[a] buon[a] ciclomeccanico/a di officina poplare mette amore in ciascuna
bicicletta che gli capiti sotto mano, ma non tutti gli oggetti dotati di ruote,
pedali, manubrio e sellino rientrano necessariamente nella categoria.
Essere una bicicletta non è una proprietà dettata dalla tipoplogia del telaio
(rampichino, da città, tubo dritto o tubo obliquo). Non è dettata nemmeno
dalla topologia del telaio (che da una rapida analisi credo abbia
tradizionalmente
genere
6). Nemmeno il materiale è determinante: ci sono biciclette di ferraccio e
non-biciclette in fibra di carbonio.
Che un oggetto possa definirsi bicicletta deriva dall’aspettativa di vita
dell’oggetto, ed è strettamente correlato alla possibilità di riparare
l’oggetto senza necessariamente sostituirne i componenti, fatta eccezione per
i componenti che per loro stessa natura sono consumabili (e.g., blocchi dei
freni, cavi, pneumatici). Un oggetto pedalabile in cui se si allenta un mozzo
per sistemarlo basta prendere due
sogliole (e armarsi di mano ferma
se esperti, di pazienza se meno esperti, o di un breviario di bestemmie se lo
si fa per la prima volta) è una bicicletta. Se invece il mozzo balla perché le
sfere si sono frantumate e hanno sfondato la coppa (“Ma come? L’ho comprata da
poco e ci giro solo in città”) e non si può far altro che sostituire il mozzo
non è una bicicletta: tuttalpiù è un oggetto a forma di bicicletta.
Un tempo gli oggetti pedalabili erano in stragrande maggioranza biciclette.
Pedalatori e pedalatrici avevano il massimo rispetto di tali oggetti, che
costituivano spesso uno dei principali mezzi di trasporto quotidiano. E li
manutenevano all’infinito, tanto che molti di tali oggetti sono perfettamente
funzionanti ai giorni d’oggi, decenni dopo il primo giro di ruota. Poi le
botteghe dei telaisti hanno iniziato a chiudere, e a ruota hanno chiuso anche
molte botteghe di meccanici. Il colpo di grazia è arrivato quando le biciclette
non si sono comprate più dal biciclettaio, ma al supermercato.
La bici da supermercato
Oggetto a forma di bicicletta per antonomasia, è il consumismo più sfrenato
applicato alla ciclistica, interamente usa e getta; i suoi componenti hanno la
stessa durata prevista di un cerotto: monouso. Segni distintivi sono il
cartello in vetrina a caratteri cubitali
“N_A MARCE”
(risaputa metrica per poter determinare quanto è ganza una bici, dove N_A
indica una quantità dell’ordine del numero di
Avogadro) spesso
accompagnato da guaine infinite che cingono sinuosamente il tubo sterzo, leve
freno rigorosamente in plastica, talvolta invertite destra-sinistra, manopole
in gomma BigBubble, colori che avrebbero fatto ribrezzo persino negli anni ‘90
e, “dulcis in fundu”1 la fatidica forcella montata al contrario.
Il/la ciclomeccanico/a popolare nel giorno di apertura si sveglia con la pelle
già più morbida per effetto psicosomatico e quasi-pavloviano del grasso che
presto gli ricoprirà le dita, annerirà le unghie e otturerà i pori. Ma basta il
solo cigolio di una bici da supermercato, all’apparenza innocuo segno di un
problema dappoco™ ma in verità – verità vi dico – prima goccia di una
cascata di componenti sfondati, a far precipitare il nostro in una profonda
depressione. Ciononostante, egli impugnerà il tiraraggi, e dopo mezz’ora di
tentativi smonterà quella ruota e proverà a raddrizzarla saltandoci sopra di
peso[^ruote].
Morale
Ecco quindi, questo breve racconto porta con sé due morali.
Per prima cosa, abbiate rispetto di voi stessə e dell’illustre storia del
nostro mezzo preferito. Comprate biciclette dalle botteghe dei biciclettaî e
delle biciclettaie. Costeranno un po’ di più come investimento iniziale, e
sembreranno meno sbrilluccicanti all’occhio meno esperto, specie optando per un
usato. Ma sicuramente porterete a casa un mezzo riparabile, che vi accompagnerà
per tantissimi anni e che sarà un piacere cavalcare. Non secondario, nel medio
termine vi farà anche risparmiare.
Per seconda cosa, pensate al[la] ciclomeccanico/a, popolare o meno, che dovrà
prendersi cura del vostro mezzo. È vero che è il suo lavoro (o la sua attività
di volontariato/battaglia politica nel caso di attivistə delle ciclofficine
popolari), ma nessuno si merita di dover mettere mano su un’oggetto a forma di
bicicletta quando la propria passione sono le biciclette vere e proprie.
[^ruote] A volte funziona.
(sic) Come disse la nostra guida quando ci portarono in gita
scolastica alla centrale idroelettrica del Coghinas. ↩︎